Allora il percorso mediativo non può che prevedere segmenti contigui di questa elaborazione che dalla incomunicabilità porta al dialogo, dalla cementificazione delle proprie posizioni al riconoscimento dell'altro, attraverso la condivisione del dramma fino alla ricostruzione del legame.
Il bisogno di consolidare legami solidaristici, di non superare un punto di non ritorno rispetto al dilagare della violenza sposta i luoghi di attivazione dei percorsi mediativi sempre più nei luoghi comuni e richiama tutti ad un impegno "politico".
Essere mediatori coincide col possedere una formazione civica, una tensione alla relazione, senso dell'umiltà e desiderio di incontrare l'altro, qualità che devono costituire il bagaglio esperienziale di chiunque voglia mettersi all'interno dei problemi delle persone, per aiutarli a trasformare i loro conflitti.
Formarsi per questo compito è allora un percorso aperto a tutti, per evitare di identificare la mediazione come un intervento per pochi eletti e destinato ad una elite di fruitori. Formarsi alla mediazione è diventato un impegno che sta richiamando molti professionisti del settore sociale, educativo, scientifico, commerciale per arricchire la propria identità professionale, attraverso l'acquisizione di un saper fare e di un saper essere che consenta di esercitare il proprio ruolo anche in funzione del miglioramento della qualità della vita collettiva.
Sembra così attualizzarsi quello che auspicavano Bush e Folger, autori di "The Promise of Mediation", "la promessa principale della mediazione riguarda la sua capacità di trasformare sia le caratteristiche dei singoli contendenti che la società nel suo complesso".
pubblicato sulla rivista "Mediares", n.13/2009